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La critica letteraria non è sempre esistita e non esisterà per sempre. In queste pagine l'autore ricostruisce le circostanze - culturali, epistemologiche, sociali - che consentirono l'instaurarsi della critica letteraria, e dello stesso concetto moderno di "letteratura'. In quella "fondazione" vivevano già i limiti invalicabili della ragione borghese e quelli della divisione del lavoro e dell'antropologia signorile che su di essa si fonda. Così la crisi attuale (o la fine) della critica deve essere messa in rapporto con una situazione culturale e sociale radicalmente nuova, caratterizzata dal trionfo della globalizzazione capitalistica e dalla nuova retorica dei mass media: un assetto che l'autore (sulla scorta di Steiner) definisce "la cultura del berlusconismo", intrinsecamente opposta al discorso critico. Questa stessa crisi, che comporta il rischio di una "perdita secca" di testualità e di senso, può essere tuttavia giocata anche come un fattore di rottura e di liberazione (grazie all'apporto dei Cultural Studies, qui riletti alla luce di Gramsci): è la proposta di un'"altra critica", non solo impegnata a ricostruire la benjaminiana "tradizione degli oppressi" (contro la storiografia "dei vincitori") ma anche rivolta all'alterità, che appare come il più produttivo dei fattori conoscitivi. Alterità sociale, etnica, culturale, ma anche alterità fra le generazioni, che fanno della scuola e dell'università il luogo cruciale dello scontro.