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La voce di Ka detta da sempre e per l'eternità, il taccuino e la matita registrano. Il me o tutti i miei sé in ascolto ricevono, mentre cammino, viaggio, mangio, bevo, penso, parlo, dormo, sogno, piango, rido o semplicemente aspetto. Frammenti di linguaggi, scampoli, trucioli, tessere dimenticate, batuffoli, grani, schegge, bioccoli, detriti che la voce lirica, artigiana che produce a mano, s'ingegna a cucire. Finiti su foglietti sparsi: scarti di discorsi, derive di espressioni, sintagmi laceri, abbozzi di storie, ad accostarli fanno affreschi. Ma chi è Ka? Non lo so: è impalpabile, è la forza vitale che ci mantiene vivi e ci cambia perché impara con noi, è indipendente, sovrascrive il nostro codice genetico e lo infutura. Già era noto nell'Egitto delle piramidi. È l'altro che disegna il mio io, forse la voce dell'altro che mi dice chi sono. Dove attingo un pensiero, uno spunto per campare, un modo di far ricomparire anche l'amore.