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Nella trasposizione di un monologo semi teatrale, a tratti feroce altrove candido, diviene occasione irrinunciabile per una profonda e feconda riflessione, se non sottile metafora, della sospensione dell'esistenza in attesa di un suo ritorno. L'aspro e quai rovinoso novellar dell'entrée, viene spinto con violenza sino alle sue estreme conseguenze, tranne poi, trasportato dall'oscillo di un quieto rivolo, a ritornar lieve, quasi ingenuo, e offrire al viandante di una via, un'ulteriore speranza per una (probabile) rinascita. Non inganni lo sfregio della frusta sul corpo e il ribellarsi delle sue carni sanguinanti comunque sempre vive. È soltanto una questione... esclusivamente dialettica! Deriva di una narrazione tormentata. È un modo di vivere e di rallentarne un moto. Le sue creature dismettono l'affronto di un groviglio esistenziale e iniziano a danzare. Si vestono e si svestono continuamente di parole, d'immagini, di colori, di ricordi, come se bastasse un colorito verbo, e la memoria.