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«Il "materiale infetto" di Marco Incardona, infatti, sembra essere prima di tutto un'ammissione di colpevolezza che allude a una diagnosi radicale: quella di necrosi della parola poetica. Anche se, in secundis, sa rivelarsi quale un inaspettato saggio di amara ironia sulla condizione dell'uomo contemporaneo, o meglio sull'intrecciarsi di alcune sue caratteristiche specifiche: l'essere cannibalizzato dai luoghi che abita, l'essere solo, e infine il ritrovarsi a vestire immancabilmente, obtorto collo, i panni del poeta». Prefazione di Max Di Mario