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Parla sempre o quasi del cielo, Laura Pezzola - questa poetessa così terrestre, terrigna, così umile (humus da terra, ricordiamolo) che si è ritagliata con dolcezza e pazienza un suo onesto fulgore di quiete, e caligine neo-crepuscolare. «Tutto il cielo negli occhi / appeso alla chioma dei pini / mentre un altro mattino / ciondola tra i rami». Repertorio emotivo, regesto interiore: ma il suo poetare non è mai impennata intellettuale, o peggio diario affettato... Bisogna meritare le immagini, raggiungere un credo laico che resista alla stoltezza corrente della retorica. Del nostro stare al mondo è forse una mission, un metronomo interiore del quotidiano; l'elettrocardiogramma che ci cadenza l'anima segreta, il mistero facile di Esser-ci, come cosa o creatura buona e giusta. E dove, per soffuso paradosso, la Banalità del Male è diventata la Necessità del Male; stupenda, drammatica sintesi insieme etica ed epocale: «...le strade hanno bisogno d'ombra / gli uccelli stridono come viole da accordare / e le parole subiscono lo strazio / dei lavori in corso».