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Da dove esce questa nenia magnetica e fiorita, così piena di morte e di vitalità? Chi è questa donna scimmia che applaude con i piedi per far fiorire dicembre, questa accusatrice e divoratrice di uomini, di padri, di figli e di se stessa? Dove siamo qui, nella poesia o in quel luogo prima di tutti, fatale, maledetto, ancestrale a cui la poesia - se è lei, con gli occhi di diaspro - conduce? Dove inizia questo incessante, snervato, nudo, funereo e sempre rinascente monologo? Dove finisce? È forse solo - come con diligenza da secchiona suggerisce con tanto di citazione finale l'autrice l'attraversamento furioso e scontato di una passione amorosa? Di peripezie erotiche e inseguimenti, fino a farsi "gnocchi" di patata l'una nell'altro? Cresce questa nenia in mezzo a ritorni in Africa, partenze dall'Africa, e quali Afriche domestiche e di bassa romagnola tra antiche divinità, riti nuovi e remoti di bambini... Per questo, in mezzo a gnocchi e a grumi di piacere e dolore, il libro è - ancora una volta verrebbe da dire, conoscendo la Montanari, ma con più estrema immaginazione e fatalità - un viaggio tra figliolanza e maternità.