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Quello della caduta o della salvezza dell'arte, a partire dal lontano giudizio hegeliano, è un tema ricorrente. Nei momenti di crisi o di trasformazione delle società ci si interroga, infatti, inevitabilmente sulla vitalità del fare arte e sulla sua necessità. In un'epoca di straordinarie trasformazioni antropologiche che investono insieme al pensiero scientifico ed al ruolo della filosofia, i sistemi di produzione, i modi della comunicazione, le strutture sociali e la percezione generale del mondo, la proposta di linguaggi critici ed inediti non dovrebbe, dunque, sorprenderci. Ma tali linguaggi hanno ancora un senso? Se ne avverte, in altri termini, la necessità stante la loro irrilevanza nella consapevolezza delle moltitudini estromesse dalla loro fruizione e comprensione? E i cosiddetti addetti ai lavori sono in grado di offrire di tali linguaggi un'adeguata lettura critica? E, infine, l'arte può ancora rivelarsi necessaria quale peculiare ordine di significazione, conservando l'ambizione di integrare il più complesso ed articolato sistema della conoscenza umana?