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La felicità, (la bellezza) delle parole non solo è un valore in sé, ma contiene germi di altro bene: smuove l'immaginazione e la relativa capacità di mettersi nei panni degli altri; fa diventare più esperti in emozioni e in umane relazioni, permettendo di inquadrare i fatti da più prospettive; dà un ritmo diverso ai battiti d'un cuore troppo spesso congelato e ali ad un pensiero prigioniero di se stesso. La scrittura, pure di felici (belle) parole, non salva nessuno; non dà immediata coscienza di sé; non guarisce le ferite di un'infanzia non o mal vissuta. Eppure, cura e umanizza, apre dei varchi, fa intravvedere vie d'uscita, riporta al centro di se stessi, si sedimenta come possibilità di un altro pensare, mette in moto energie che non si sospettava neppure di avere.