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Un mondo di ieri, appena trascorso e già straordinariamente lontano, al punto da rischiarne la definitiva perdita di memoria: una preziosa raccolta di reperti delle culture magiche e delle preghiere laiche nella tradizione popolare dell'area del Vallo di Diano e del Cilento, che ripropone la suggestione delle grandi ricerche etnografiche di Ernesto de Martino. Con questa opera originale e di lunga lena, Giuseppe Colitti ci consegna un corpo coerente di credenze popolari, che si tiene insieme in maniera davvero stupefacente e che, come osserva Francesco D'Episcopo nella postfazione, restituisce, in presa diretta, «il vero volto di un Sud non contraffatto da facili mistificazioni». «Forse tanti anni fa il cielo era diverso, e quando vi si rivolgeva lo sguardo succedevano cose che oggi non succedono più», scrive Pietro Clemente nella prefazione. E luce e tenebre erano i due poli dell'immaginario di questa tradizione perduta. La luce del sole era un richiamo alla bontà divina del cielo; il buio della notte rievocava le figure del male, che operava nelle tenebre, come la brutta bestia (il diavolo) e le streghe. È cambiata anche l'immagine della morte: non si vede più il nero del lutto e non si sente più il pianto ad alta voce. L'aldilà non è più rappresentato dal ritratto di defunti col lumino acceso, come a scongiurare le tenebre, e non si teme più l'apparizione degli spiriti. L'acqua è ormai disponibile in tutte le case e non si va più a prenderla alla fontana; tanto meno si va fuori a lavare i panni. Sempre meno si crede al malaugurio e alle fatture. Non si rattoppano più gli indumenti; nessuno va più scalzo e quasi nessuno ripara le scarpe dal calzolaio. Non si recitano più le preghiere in dialetto, buone a scandire i vari passaggi della giornata e particolarmente il momento di addormentarsi. Né c'è più, infine, l'abitudine di fare 'Iu cuntu' (il racconto), distratti, come si è oggi, dalla televisione e dal cellulare, e privi di un'autentica comunità.