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Un giovane uomo decide di lasciare la sua terra per avventurarsi, solo, altrove. Il suo racconto, come molti altri d'altronde, ci narra di un processo di svincolo. Liberazione da retaggi culturali, da precetti morali nati chissà quanto addietro nella Storia, nonché ereditati in pieno senza nemmeno poterli mettere in discussione. Ma anche lo snodo da legami familiari, tanto sofferti quanto necessari. Il protagonista di questo romanzo di formazione decide di volare in Irlanda per tentare la fortuna. Attraverserà luoghi e atmosfere aliene, che lentamente diverranno sempre più abituali. S'immergerà in un idioma differente, di cui dovrà comprendere le ripercussioni culturali, aiutato da personaggi luminari che lo introdurranno a quello stile. Perché, si sa, la realtà è generata dalla lingua. E lo capirà attraverso le parole, nuove, in cui s'imbatterà, riportandocele fedelmente. Il titolo, Le mani in pasta, avrà dunque molteplici profondità di significato. Apprendere dall'esperienza, certo. Ma anche indossare ignote vesti, respirare odori nuovi. In una parola, vivere.