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Ci sono delle camicie a quadri, nei nostri armadi. Non sappiamo nemmeno come ci siano finite. Sono dozzinali, eppure totalmente nostre. Losanghe a quadretti di un quaderno delle elementari, dei tempi in cui ci faceva felice un diario di Jacovitti e una sbucciatura sulle ginocchia rimediata all'oratorio. Nel taschino c'è il mozzicone di una matita, malaticcia e minimalista, smangiucchiata, con la quale abbiamo scritto e disegnato le storie di questo volume. Racconti di piccole vite, che diventano grandi quando qualcuno si dà la pena di provare a raccontarle. Perché il narratore è l'archeologo di se stesso. Abbiamo cercato di togliere la polvere da esistenze senza sussulti, per scoprire che il vero campo da gioco è la ricerca di un'unicità microscopica. Non raccontiamo storie di splendide coccinelle, ma di testarde formiche soldato, di esseri che alzano dieci volte il proprio peso per sopportare la fatica di tirare avanti. E in questa attività partiamo tutti dal primo vagito urlato in faccia al mondo, sporchi di placenta e vivi come non saremo mai più. Raccontare è combattere, è resistere. Raccontare è indossare una camicia a quadri, impugnare un mozzicone di matita e cercare qualcuno che abbia voglia di fare un pezzetto di strada insieme a noi.