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La presente ricerca, allontanandosi dall'opinione che vorrebbe Medioevo e Rinascimento in forte opposizione tra loro, si associa all'idea che il pensiero giuridico e politico della Rinascenza, pur presentando indubbie novità, offra a uno sguardo attento altrettante sicure persistenze. Diritto e politica non possono non parlare ancora la medesima lingua, che continua a mutuare il suo intero lessico da quel solido deposito sapienziale chiamato civilis sapientia. Ciò non toglie che l'umanistica disputa sulle arti e la rilettura cui fu sottoposta l'Etica aristotelica lungo tutto il Quattrocento siano foriere di uno scollamento tra questa dimensione sapienziale e un piano più schiettamente prudenziale, in lenta ma costante emersione. Insomma, un itinerario, quello consegnato in queste pagine, che prova in una qualche misura a dar conto dei rapporti tra diritto, politica e morale agli inizi della modernità, e al cui centro è stato collocato significativamente Niccolò Machiavelli. Il pensatore politico fiorentino, infatti, anche se non sempre direttamente presente, rimane in questo studio il riferimento costante e centrale.