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«Due cose sapevo di certo: la prima, che la Birmania era l’ombelico del mio mondo, ovvero della cooperazione. La seconda, che la Birmania era l’amico più sporco della Corea del Nord. L’amico che probabilmente ordinava armi nucleari e simili prodotti d’intrattenimento. L’amico che aveva chiesto ai nordcoreani assistenza tecnica per costruire la nuova, inespugnabile capitale Naypyidaw. Insomma, un filo diretto correva tra Pyongyang e Naypyidaw, e su quel sottile ma solido filo mi vedevo a camminare trionfalmente io, la sopravvissuta.»
Dopo aver vissuto quattro anni in Corea del Nord, Carla Vitantonio sbarca a Yangon, la più popolosa e vivace città del Myanmar. Proprio come il Paese che la ospiterà, sta attraversando una travolgente trasformazione, sballottata tra antichi conflitti e promettenti novità. Il suo incarico è quello di direttrice regionale per un’importante Ong. L’obiettivo è assistere le persone disabili tramite numerosi programmi, tra cui quello di assistenza alle vittime delle mine antipersona.
Il primo anno non è affatto semplice, in Myanmar tutto segue una logica impossibile da decifrare e ci vuole tempo per trovare il proprio posto. Poi, grazie a due gatti, una bicicletta su cui sfrecciare tra i pericoli delle strade birmane, una comunità queer tra le più aperte del continente asiatico e le trattative nella giungla con le milizie ribelli, l’autrice inizia a sviluppare un legame sempre più profondo con queste lande remote e con le persone che le abitano, offrendo ai lettori uno sguardo unico – di donna, attrice, attivista, cooperante,– per comprendere un altro pezzo di Asia.
A seguire il successo di Pyongyang blues, Carla Vitantonio regala il suo sguardo unico sul Myanmar (ex Birmania), per raccontarci chi sono quei birmani che stanno invadendo le strade del Paese in protesta contro l’ultimo colpo di Stato militare.