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Durante il lockdown, Sergio Lubello si trasferisce nel paese natale, in Salento, dalla madre anziana. Esce di casa solo per cose necessarie, ma anche nel microcosmo in cui vive tutto è cambiato: intorno solo silenzio, vuoto, paura. Tra lezioni a distanza e attività scientifiche che cerca di non interrompere, dedica ogni giorno del tempo alla narrazione della pandemia, un diario che oscilla continuamente tra riflessioni su ciò che accade intorno e movimenti diversi di memoria personale. Attraverso la scrittura di questo diario, Lubello torna anche col pensiero ai luoghi e le persone del suo passato. E come scrive in una pagina del diario: "I diari che scriviamo, che alcuni scrivono di questi tempi, non sono per forza o soltanto narrazione, racconto. Sono scavi, con smottamenti. Movimenti, talvolta contrari. Recuperi inattesi. Sguardi ravvicinati, o di sbieco. Incontri fortuiti, non sempre rassicuranti. Disseppellimenti, spesso di ricordi rimossi. Ritrovamenti accidentali, subitanei. Coacervo di spigoli, anche contundenti. Ma sono soprattutto conversazioni solitarie. Tra te e te, di fronte mai come ora per così tanto tempo".