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In una regione come la nostra, dove la cultura contadina ha radici profonde, il paesaggio rurale è rimasto fortemente improntato di quel rapporto secolare tra l'uomo e l'ambiente, tra il contadino e la natura del terreno. Un contadino, il nostro, costretto da sempre a confrontarsi con "quell'orgia di pietre", per dirla con Cesare Brandi, con quell' "ossame di natura", che per Girolamo Comi era l'Immagine del Salento. Un paesaggio "dai silenzi favolosi", come lo definiva il pittore Vincenzo Ciardo, animato, però, da "uomini maschi, buoi, lamie, cripte, calogerati, masserie, brecce ossifere, e il Jonio dal ceruleo magico" come scriveva Luigi Corvaglia nel romanzo Finibusterre. Un paesaggio determinato soprattutto dall'opera dell'uomo, che sapientemente ha adattato la natura alle necessità della vita. Quello che risalta a prima vista è il "paesaggio della pietra", un paesaggio definito da una miriade di muretti a secco che s'intersecano secondo un ordine prestabilito per chiudere fazzoletti di terra, che il contadino del Salento ha strappato alla roccia per fertilizzarli col sudore.