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L'amore visto ora come cecità ai difetti dell'oggetto del desiderio, ora come male contagioso, ora, infine, come argomento di opere teatrali e poetiche da evitare per guarire dall'eros: questi sono solo alcuni aspetti di una complessa fenomenologia che il poeta latino Ovidio affronta, per porvi soluzione, nei Remedia amoris, una sorta di 'prontuario' in distici elegiaci, composto a uso e consumo degli innamorati infelici fra l'1 e il 2 d.C. La concezione dell'amore come ferita non è certo un prodotto originale del Sulmonese, come dimostra la frequenza con cui egli richiama la relativa tradizione filosofica nel gioco dell'intertestualità, ma l'idea di fornire ricette, antidoti, contro la patologia erotica ne sancisce ufficialmente la vocazione di arguto sperimentatore, già in nuce nell'elegia 'ludica' degli "Amores" e realizzatasi appieno nel progetto didascalico dell'"Ars amatoria". Concepiti, dunque, come l'opera più 'eversiva' nell'orizzonte dell'elegia latina (genere deputato al canto della sofferenza amorosa), i Remedia saranno a loro volta oggetto di allusività contrastiva nella produzione poetica e drammatica di Shakespeare, il cui manierismo sembra rifiutare ogni terapia contro il veleno dell'eros, oscillando piuttosto fra immedicabilità delle passioni e amore come antidoto a più gravi malattie dell'anima (quali sono l'incapacità di amare e il narcisismo)...