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Con il recente Trattato di Lisbona l'Unione europea ha acquisito ampi poteri in materia di immigrazione. Ma in quale direzione si sta muovendo? L'Europa degli "accordi di Schengen". che rafforza le frontiere esteme, appare sempre più legata all'Europa delle "si rategie per la crescita", che incentiva la flessibilità e la mobilità del lavoro. Le politiche migratorie comunitarie, "selettive" e "flessibili", si impegnano ad attrarre e respingere i migranti in base alle esigenze variabili dei mercati. L'Unione dimentica il "diritto di migrare", la complessità dei percorsi migratori, il loro rapporto col mondo postcoloniale e neoliberista; mentre si appella al "bisogno di manodopera straniera" e alla "lotta contro l'immigrazione irregolare". Ma il dispositivo di immigrazione comunitario non produce l'effetto biopolitico di creare nuove tipologie di soggetti: i "regolari" e gli "irregolari". Piuttosto, destabilizza lo status soggettivo dei nuovi arrivati: trasforma molti in "precari (ir)regolari" e li indebolisce come attori sociali. Si profila così, nella costruzione europea, una crisi profonda non solo dei diritti, ma anche delle pratiche di cittadinanza, già ampiamente messe in discussione dal dispositivo di flessibilità.