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Nessuno può negare di vivere nella speranza che ciò che sente vero appaia come tale anche ad altri e ciò che gli apre l'orizzonte come bello appaia come tale anche ad altri. Ma così non è automaticamente, non lo è per tutto ciò che sperimentiamo, non lo è per tutti coloro con cui lo sperimentiamo. Rinchiudersi nella convinzione che vero e bello siano illusioni, che l'interpretazione sia un regno desolato in cui mi perdo o al massimo offro il mio contributo gridando in un deserto non soddisfa. L'interpretazione del vero e del bello che ho maturato, conoscendo, contemplando, costruendo e vivendo, l'interpretazione che sono, continuamente s'incontra, si scontra, si confronta e attua un permanente dialogo con l'interpretazione altrui che è stata e s'è consolidata in opera, è e si fa dibattito e discorso, si articola anche già in me in un dialogo tra me e me. Forse non c'è la mia interpretazione senza l'altrui e il dialogo non è che il manifestarsi di una radicale coappartenenza di verità, bellezza e altri, e di coappartenenza tra me e gli altri? Interpretazione e dialogo radicano il nostro essere persona nel nostro essere liberi e in dialogo, del nostro essere in dialogo perché liberi, e liberi perché in dialogo.