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Non sono riuscito a superare la malinconia suprema che le immagini di questo volume trasmettono, ma non ho potuto non considerare la grazia alla fine dell'orrore. Questa sofisticatezza doveva essere raccontata e tramandata senza la solennità cattedratica e pedantesca, religiosa o laica, che accompagna il "fine vita". Lo strumento usato per la narrazione (la fotocamera di un cellulare), ci viene in contro, azzerando qualsiasi compiacimento estetico, restituendo una realtà gelida, bagnata dalla luce del neon, catturata in desolanti sotterranei oppure in case private in cui regna un disfacimento completo. Si percepisce l'urgenza interiore dell'autore che scatta come se quella fosse un'indagine personale, una ricerca dell'assoluto compiuta di nascosto, senza farsi vedere, senza perdere la tenerezza. Marco Soellner