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"Burckhardt è stato a buon diritto universalmente lodato per i caratteri della sua esposizione, ma anche per la capacità di trasporre in forma letteraria complessi materiali storici e di trasformare l'indagine scientifica in arte. Per conseguire tali risultati gli tornarono utili la vivezza del linguaggio, la capacità di distribuire luci ed ombre e anche un penetrante intuito psicologico, con il risultato complessivo di far riemergere individui e periodi storici dalle tenebre in cui erano piombati. In sostanza, la peculiare plasticità della sua esposizione era solo il riflesso della sua enorme «sete di conoscenza». Egli non avrebbe potuto concludere nulla, affermò una volta, se avesse dovuto trasferire sulla carta «un'immagine tratta dalla propria interiorità»; ogni pensiero doveva essere rapportato «a qualcosa di esterno». Per questo motivo Burckhardt riteneva anche di essere incapace di ragionamenti filosofici. Eppure non era un narratore. Le sue descrizioni rivelano fin nell'impianto che egli privilegia l'apparato concettuale, la riflessione e la comparazione. [...] Nel complesso, il suo modo di procedere è tipico della ritrattistica più che dell'epica, per cui Burckhardt non riproduce i processi ed il succedersi degli avvenimenti, ma immobilizza l'evento, scelto il più delle volte con uno spirito drammatico, per metterne a nudo la natura alla maniera del ritrattista, capace di fissarla nitidamente, di coglierne i tratti essenziali. Tutto quel che si trova in secondo piano e ancor più dietro, sullo sfondo, non è meno significativo degli attori che campeggiano davanti, «testimoni di primo grado nel processo». Erwin Rohde, l'amico di Nietzsche, ha definito con acume lo stile di Burckhardt «riflessivo nell'esposizione»." (Dallo scritto di Joachim Fest)