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«Fra gli dèi che si trovano dappertutto in Grecia Dioniso è il meno sedentario. In nessun luogo è a casa sua. Meno che mai a Tebe, dove la madre, la mortale Semele, lo porta per qualche mese nel suo ventre. Dio nomade, ha un regno senza capitale. [...] Bisogna lasciare Dioniso alle sue province, ai suoi villaggi, ai suoi itinerari errabondi. Bisogna concedergli intera la libertà delle sue epifanie. [...] Argo, Lesbo, Eleutere, Olimpia, Taso e Delfi e Orcomeno, fino all'isola misteriosa delle rive atlantiche, là e più in là ancora, Dioniso sorge, si slancia, danza, afferra, squarcia, fa delirare. Intrecciando nell'arcobaleno delle sue apparizioni i colori simili del sangue che sgorga e del vino schiumeggiante. Dioniso che afferra brutalmente la sua preda facendola oscillare, trascinandola nella follia, nel delitto, nella sozzura; Dioniso dei vigneti che maturano in un giorno, delle fontane di vino, della bevanda che inebria e che esalta. Questo duplice dio non sarà alla fine lo stesso?».