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"Alla parola che celebra se stessa nei riti dell'estetismo, alla «poesia monologica» di un Gottfried Benn, Ingeborg Bachmann oppone una letteratura «rivolta con tutta la sua essenza ad un Tu», una poetica dell'«immaginazione sensoriale». [...] La sfida dell'Invocazione non occulta il male dell'Orsa, ma lo raffigura in tutta la sua terribile potenza. In questo senso Ingeborg Bachmann si fa portatrice di una moderna poetica del sublime, che riconosce la grandezza dell'uomo nella sfida che egli rivolge alle potenze che lo sovrastano. Se Dio non abita nel mondo e se la storia è visitata dal male, se l'uomo è estraniato da se stesso, spetta al canto poetico testimoniare messianicamente la verità. Il non-rivelarsi di Dio, la sua «presenza-assenza» - un concetto che lega Ingeborg Bachmann a Simone Weil e a Wittgenstein, e ancora più indietro a Hölderlin - si rovescia così nella trascendenza mistica della parola. Ogni poesia è in questo senso Anrufung: preghiera, invocazione e chiamata in giudizio al tempo stesso." (Dallo scritto di Luigi Reitani)