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Quando Marcel Proust mori, già celebre nel mondo, nel 1922, molti si precipitarono da colei ch'egli chiamava la sua "cara Céleste ", per ottenerne la testimonianza, i ricordi. Molti sapevano che solo lei (per essergli vissuta accanto negli otto decisivi anni della sua esistenza) deteneva verità essenziali sulla persona, sul passato, sugli amori, sullo sguardo sul mondo, sul pensiero, sull'opera di quel grande, geniale infermo. Céleste era il testimone principe, il centro di tutto. Ma per cinquant'anni rifiutò di parlare. La sua vita, diceva, se n'era andata con Monsieur Proust. Solo a ottantadue anni Céleste Albaret decise di concedere una lunga conversazione, raccolta nel libro, a Georges Belmont.