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"Se i greci hanno conosciuto tutte le forme di figurazione del soprannaturale, pietre grezze, travi, pilastri, oggetti vari, animali, maschere, essi hanno tuttavia attribuito un valore quasi canonico alla rappresentazione antropomorfa. Quali sono i significati religiosi di questo privilegio accordato al corpo umano come specchio delle potenze divine? Quali aspetti del dio la figura dell'uomo, più di ogni altra, riesce a esprimere? La figurazione umana del dio conduce poi, in Grecia, al passaggio dal simbolo all'immagine. Gli idoli antropomorfi arcaici non sono immagini. Non ci offrono il ritratto del dio. Attraverso il corpo umano, essi mostrano valori divini il cui splendore illumina l'idolo, lo trasfigura facendo brillare su esso, come un riflesso venuto dall'aldilà, quelle benedizioni la cui origine è negli dèi: bellezza, giovinezza, salute, vita, forza, grazia. Perché l'idolo divenga immagine non è sufficiente che, svincolato dal rituale, assuma la sola funzione di essere visto e che, sotto lo sguardo della città, si trasformi in puro spettacolo; occorre anche che quest'idolo, invece d'introdurre nel mondo visibile la presenza dell'invisibile divino, si proponga, grazie all'imitazione esperta delle forme esteriori del corpo, di riprodurne l'apparenza".