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Che siano luoghi della memoria, ricostruzioni dell'immaginazione o realtà ancora in qualche modo presenti e percorribili, i "giardini dell'attesa" rappresentano degli snodi decisivi nelle vite dei singoli o di intere civiltà. Teatri di un volontario esilio, come per Darwin e Freud, o spettacolari scenografie di una vita inimitabile come per la Villa Lysis di Fersen o per S. Michele che fu ad Anacapri il buen retiro di Axel Munthe, o ancora, mitiche rievocazioni di vegetazioni sospese sul bordo di eventi epocali come per i giardini di Montezuma o per quelli di Pompei ed Ercolano, ci parlano di qualcosa che trascende la suggestione degli ambienti e che si colloca al confine fra la vita e la morte, nel cuore stesso del senso delle cose. L'attesa è allora come un sottile presentimento che attraversa queste creazioni umane ed è anche a volte stoica accettazione o remota speranza che si consuma in quel ritorno alle origini e ad una madre che ogni giardino vuole segretamente simboleggiare. In un suo percorso tutto intimo e dichiaratamente autobiografico, l'autore non è andato alla ricerca dei giardini più celebrati e rinomati (sui quali già tanto è stato scritto) né si è voluto soffermare prioritariamente su considerazioni paesaggistiche, preferendo piuttosto lasciare libero corso a pensieri e ricordi in un itinerario che partendo dalle memorie d'infanzia si interseca con esperienze di viaggio, studi, riflessioni.