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La tragedia è uno dei più affascinanti e misteriosi generi della letteratura. Si è tanto discusso delle sue origini, ma è anche misteriosa la sua intermittenza nella storia. Solo due i grandi momenti della sua vicenda, la Grecia del V secolo a.C. e l'Europa del Cinque-Seicento. Perché? Non è facile rispondere, ma la fortuna della tragedia va connessa ad un suo rilievo 'politico' in società nuove, che avevano bisogno di coagulare attorno a sé un forte principio identitarie; quando è mancato questo nesso la tragedia ha avuto meno vitalità e si è realizzata per lo più come esercitazione retorica e accademica. Il libro ricostruisce in sintesi la parabola della 'tragedia' come genere letterario, a partire dalla tragedia greca, che ne configura il prototipo e modello imprescindibile; segue l'analisi del teatro europeo dell'età moderna, con i suoi autori (Tasso, Shakespeare e gli elisabettiani, Lope de Vega, Calderon, Corneille, Racine). Infine la stagione romantica (Goethe, Puskin, e altri) fino ai più recenti tentativi di recupero della tragedia, nei nostri giorni (Eliot, Luzi e Pasolini).