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Un pellegrinaggio laico nei luoghi del dolore. E le parole che in queste poesie lo cantano non sono altro che una danza, una parola che danza perché ne rincorre altre, in una coreografia di tracce e di fantasmi, e le cose, le persone, le sensazioni è come se sparissero. È una danza di parole di morte ma è anche una celebrazione della vita. C'è vita, tanta vita che pulsa in queste poesie, ricordi, erotismo, nostalgie, speranze, rinascite. Ma è la perdita del tempo, che ormai è andato, e porta con sé tutte le altre perdite, soprattutto le persone amate, a diventare protagonista. E qui il tempo perduto è come se ritornasse, non solo quello cronologico ma una temporalità tutta psichica, interiore. Nella seconda parte si recita il kaddish, il canto funebre ebraico, e il dolore fa il suo giro nei campi di concentramento dove ancora se ne sento l'eco. Qui la parola suona, diventa musica e lamento, recitazione a voce alta, e diventa corpo, e poi curva di suono impalpabile, una danza evanescente che porta una brezza leggera dopo la bufera.