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Forse ognuno ha un suo luogo che è prolungamento del corpo e del pensiero. Se è così ognuno conosce l'esilio anche se mai si è mosso da quel luogo, lo stesso esilio che il tempo-levatrice impone dal ventre materno. Per la scrittrice quel luogo è una città e continua a percorrerla e ricercarla coi piedi, con gli occhi e con la memoria. La trova ancorata alla terra più di quanto lo sia lei stessa, eppure elusiva come un labirinto infinito o un corpo infinitamente in muta. I corsivi di questo libro, mentre tentano di fare cornice all'esplorazione di quel caleidoscopio, vestono l'esploratore coi panni di ogni possibile esiliato: ribelle mandato al confino, infermo, soldato in trincea, fuggiasco, eremita, vecchio vaneggiante, cerretano girovago, emigrante. Gli scherzi della memoria ormai scolorita e le malizie della città multiforme gli concedono solo frammenti, schegge, visioni che balenano rivelatrici e subito spariscono lasciandolo col miraggio inafferrabile di sempre. Spaesamento, è la parola; ma non definisce la città, definisce la condizione di chi attraverso lei cerca se stesso.