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Il verso, impreziosito dalla forma classica del sonetto, disegna una scrittura ellittica imprevedibile e fantasmagorica, composta e sfaccettata, che si inoltra su itinerari sconosciuti, quasi a esorcizzare la futilità del reale, paradigmi musicali che si incorrono su immagini e abbandoni, a volte suadenti, con larvata ironia e umana indulgenza "in questa landa di vento scoscesa". "Qual perfetto appiglio" come invito ad una riflessione sull'ambiguità della parola, anche. La canzone finale, invece, sfidando i limiti e particolarismi, è un inno alla fratellanza e alla comprensione.