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È la storia di una di quelle famiglie ebree cacciate dall'Egitto, negli anni Cinquanta, quasi da un giorno all'altro. Un mondo alle spalle, un altro tutto nuovo, e non certo facile, davanti. L'io narrante, la "bambina", mentre vive in un presente piuttosto disagiato, è l'eco di una storia di cui sa ben poco perché quasi non se ne parla. La madre lavora come instancabilmente per mandare avanti la baracca, il padre, un individuo strano, sfuggente - nel vero senso della parola - è prodigo di paroloni ma del tutto inetto alla vita. Passa gli anni a crogiolarsi nell'emarginazione, in quella sociale della comunità sefardita o "orientale", degli ebrei arrivati dai paesi arabi ed esclusi per decenni dalla dirigenza del paese, ma soprattutto nella propria. La famiglia tira dunque avanti così, un po' di stenti e un po' di ricordi di una vita diversa, rievocando i fasti del Cairo. Un romanzo strutturato come un arabesco, dominato da un commovente senso di maternità. La costante lotta di una madre per garantire ai figli una vita dignitosa.