Tab Article
dalla prefazione ...forse è un riassunto del tempo che si cancella, là dove il candore delle colombe muta in astuzia (Franco Fortini), dove la leggerezza del verso disegna ghirigori che la mano ignora e sfida la leggerezza della seta della pinna nobilis. Ma possiamo continuare a chiamare poesia questo oggetto causa del desiderio? Arianna Baldoni lo sa bene, gli anacronismi - queste erranze ontologiche del senso - proteggono dalla nostalgia e dalle paure. Accompagnano le derive e le metamorfosi. I vani palpiti d'ali e di voci lontane. Come il sole educa la geografia dei fiori, la passione educa i sintomi della vita corrente a divenire parole, a superare lo Stoss che apre l'innocenza al mondo. Non è per caso che molte di queste composizioni rimandano ai taumatropi che, ruotando, spalancano agli arcani della meraviglia, ingannando. Ingannando conducono all'impensato. Alle pieghe che il ricordo infligge alla storia materiale. All'enigma della quiete che segue la tempesta. Alle matite perse nel tempo. A un segnalibro tra le pagine di Metamorfosi e simboli della libido di Carl G. Jung. Tuttavia, l'aspetto che più ricorre e scandisce questi testi è la flanerie, una figura del labirinto in cui Arianna è a suo agio! (...) Un senso che la scrittura rende iconico ed inquieto, inappagante nella sua opaca bellezza. Che ha il sapore del pane quotidiano un po' brucato e masticato di corsa. Un sapore, lo stesso di quella fragile figura retorica che è l'analogia, con la sua illogicità, che rende grafico il testo poetico mutandolo in una serie continua di metafore su cui gli stati d'animo si aggrovigliano per rivelarsi. Per auto generarsi in forme nuove, che spingono contro i confini del ricordo e lo gonfiano moltiplicando la foresta dei simboli. Un modo di vedere il mondo e sognarlo, disfacendo le barriere tra realtà e inconscio. Un mondo che ricorda il collage surrealista e che, come la Nadja di André Breton significa "speranza".