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"In questi caliginosi tempi di incertezza e fragilità la poesia più che mai diventa forma perfetta come voce dell'anima, comunicando messaggi indelebili scritti su una sofferta quotidianità intessuta di piccole e grandi disillusioni. Trasporre la propria interiorità in versi assume perciò il ruolo di strumento interpretativo per questa realtà di ordinaria follia nella quale, volenti o nolenti, ci troviamo a navigare. Matteo Sabbatani ci regala con questa nuova silloge una lucida, impietosa (eppur amorevole) analisi della nostra condizione di umanità asservita. Nel raccontare di sé, il poeta si presta ad essere specchio ustorio per tutte le ipocrisie di cui ammantiamo la nostra quotidianità senza alibi né perdono, marcando ancora una volta il potere liberatorio della parola." (Rosarita Berardi).