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Il mondo della guerra descritto nel primo volume di Condottieri di Romagna non è lo stesso mondo che si apre nei primissimi decenni del Quattrocento e pare distante un millennio da quello che si configura nel Cinquecento. Le grandi compagnie che avevano accentrato la maggior parte dell'attività militare nel Trecento lasciano il campo, nel secolo successivo, ad un nutrito numero di condottieri italiani, e in buona parte romagnoli, che si muovono in autonomia, senza la necessità di aggregarsi in grandi strutture associative, dando vita a contingenti che le potenze tendono a rendere permanenti, o quanto meno a legare a sé per lunghi periodi di tempo. Hanno così modo di emergere personalità multiformi come gli Attendoli e poi gli Sforza, condottieri di grande spessore anche politico; come Carlo Malatesta, ossimoro vivente di condottiero-pacificatore; Malatesta Novello, condottiero umanista, e Sigismondo, combattente innamorato dell'arte; come Brunoro Zampeschi, guerriero poeta, o Dionigi e Vincenzo Naldi, leali comandanti di torme di briganti. Personaggi sensibili ma sfuggenti come Astorgio Manfredi e Pino Ordelaffi, montanari raffinati come i Guidi, guerrieri irriducibili al soldo delle grandi potenze quanto immersi nelle faide del proprio microcosmo, come i Rasponi ravennati o i Sassatelli imolesi. Emergono il prode Guidarello che muore per una camicia, Giovanni dalle Bande Nere affascinante mascalzone; poi i condottieri che affrontano l'impero ottomano in terre così lontane dal venire trascurati dalla storia d'Italia. Ed emergono inaspettate figure femminili, come Margherita, Chiara, Diamante, Vannetta. Due secoli che vedono rinascite e crolli, splendori e miserie, in attesa che l'Italia diventi il campo di battaglia di altri.