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Quando Rolando Rizzo, all'età di cinque o sei anni, viene costretto a lasciare il suo paradiso sulle rive del Colognati per vivere a Rossano Calabro, un acrocoro tra la montagna e il mare, incontra nella sofferenza e nella povertà due oasi di gioia: la piccola chiesa avventista di cui amo subito i canti, i giochi e le omelie di un pastore simpatico e coinvolgente. Poi i nuovi amici dei vicoli affollatissimi con i quali scopre per la prima volta il gioco del calcio giocato prima (è subito un portiere agile e spericolato) e poi vissuto sulle figurine colorate che gli regala un amico di suo padre. È attratto subito dal colore viola che, gli dicono, è il colore della Fiorentina, vissuta da subito come la squadra del cuore, l'unico in un gruppo di bambini che si dicono interisti, milanisti e soprattutto juventini. Due sentimenti di appartenenza, certo di statura e livello incomparabili. Lo caratterizzano sin da subito: la fede avventista e il "tifo" per la viola. Spinto da amici racconta questa sua doppia e certo ineguale passione in questo romanzo breve, nel quale la viola è la Fiorentina e i gigli della campagna sono i fiori che Gesù inviata a guardare nella loro bellezza, simbolo della sollecitudine di Dio. Già ancora prima della stampa, piovono le accuse di sacrilegio, ma l'autore, pur dispiaciuto, va avanti e afferma: «Io sono un uomo di fede e racconto il mio dramma esistenziale così come si è svolto nella vita reale, non elaboro ricostruzioni per soddisfare l'ipocrisia bacchettona degli spirituali. Io racconto anche l'incontro con l'effimero vitale che trova i suoi spazi nella vita di tutti gli uomini. E il suo bisogno di essere vissuto in una cornice di ironia, di rispetto e di gioia».