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Laing, a 25 anni dalla sua prematura e improvvisa morte, sembra essere tornato attuale e sembra volerci interrogare attraverso gli aspetti, teorici e clinici, più stimolanti che furono propri del suo "insegnamento". È sembrato interessante, ma anche giusto, concepire un lavoro che tendesse a fare luce sulle ombre della sua vita e su quelle della sua arte terapeutica e che contribuisse a fugare l'ombra calata su di lui dall'establishment psichiatrico, psicoanalitico e psicoterapico: quell'ombra "oscura" una persona e un "personaggio" che è stato protagonista, durante una particolare stagione storica, nell'"animare" la scena culturale e la scena "clinica" nel mondo della salute mentale in occidente. Oggi sembra che Laing voglia interrogarci anche "esistenzialmente" nella sua funzione di "maestro" e in quella di "padre": due funzioni che egli assunse integralmente scommettendo forse troppo sulla riuscita della loro non facile commistione e volle così esporsi anche nei propri limiti, umani e professionali. Certamente colpisce quell'amalgama tra arte e vita come fosse "un'opera che continuamente viene costruita poeticamente ed immaginariamente".