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Non solo Ken Loach o Trainspotting. Il cinema britannico di qualità è molto di più. È la lucidità dolente di Karel Reisz, la forza endogena di Tony Richardson, lo sguardo poetico di Lindasy Anderson, l'ironia graffiante dei Monty Python, l'impeto militante di Derek Jarman. È la rabbia dei giovani contestatori del Free Cinema e la gioia sfrenata della Swinging London. È il bisogno di forte impegno politico contro la Lady di ferro Margaret Thatcher e lo sguardo attendista di sospetto nei confronti del riformismo di Tony Blair. È un cinema incerto tra raffinata ricerca visiva e realismo quotidiano che si sfrangia oggi nelle mille derive del digitale fin quasi a morirne come auspicato da Peter Greenaway. Ma che cerca anche di restare specchio di un mondo immerso in dolorose contraddizioni colte da un Mike Leigh o uno Stephen Frears, o di travalicare le dinamiche di genere come in Danny Boyle per descrivere il perenne divenire della società. E che, senza dimenticare il grande bardo William Shakespeare, aborrisce immagini patinate mainstream o rievocazioni nostalgiche dell'Impero.