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Per dirla con MirceaEliade: il mito è un significante. Il mito descrive i momenti originari del cosmo e della vita, affondando le radici nel tempo primordiale e favoloso degli albori. Ogni storia mitologica ha il compito di mettere a nudo verità archetipali: modelli strutturali aprioristici che muovono dal profondo tanto le orbite planetarie quanto la quotidianità spicciola. Pertanto, il mito fotografa l'irruzione del sacro nel mondo descritta mediante un sistema simboli. In buona sostanza, rivelando l'esistenza e l'attività di esseri soprannaturali (antenati primordiali), il mito stabilisce un comportamento conforme a tali modelli e descrive una strada precisa di elevazione spirituale o, se vogliamo, in un altro e più familiare contesto, di richiesta - e ottenimento - della luce interiore. Ecco che il contesto mitologico chiama l'uomo a compiere nuovamente l'atto iniziale (poiché esso è un archetipo). Questa ripetizione dell'atto iniziale ci proietta ai primordi: abolisce il tempo profano per raggiungere il tempo sacro delle origini. Il mito di Ercole, antico di oltre 3.000 anni, affonda le radici negli albori della civiltà e trova corrispondenze nei rami sia occidentali sia orientali della tradizione (si pensi all'epopea di Gilgamesh). Narra le vicende di Alcide d'Anfitrione, un uomo che, avendo in sé la scintilla divina, è 'condannato' ad affrontare terribili prove per poter poi godere appieno, immortale nell'Olimpo, della sua natura divina. In questo contesto poco importa se Ercole, Ulisse, Gilgamesh, Artù siano anagraficamente esistiti o meno: in fondo, essendo principi e richiamando verità archetipali, essi quotidianamente esistono.