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Due maestri della critica e della civiltà italiana del Novecento rivivono in queste pagine, dense di riferimenti culturali quanto di memorie personali. Letteratura come vita di Carlo Bo fu il verbo ermetico di una generazione e resta legato al protocollo solenne di San Miniato (1938). Un episodio leggendario del Novecento letterario. L'esercizio della critica letteraria per decenni tra università, la sua di Urbino, di cui fu il rifondatore e il Magnifico Rettore, giornali e stampa, fece del taciturno intellettuale ligure (1901-2001), dal 1984 Senatore a vita, il giudice letterario più autorevole e prestigioso nell'Italia moderna. Leone Piccioni (1925-2018), discepolo di Giuseppe De Robertis a Firenze, allievo e collaboratore di Giuseppe Ungaretti nell'Università di Roma, editore critico delle poesie ungarettiane, fu un alto dirigente Rai, vicedirettore generale, e contribuì a traghettare la sua raffinatissima cultura letteraria, la sua scaltra tecnicalità nella poesia e non solo, sul servizio pubblico radiotelevisivo. La grande scuola della Repubblica. E «L'Approdo» fu la sua trasmissione. (...)