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In un autoritratto lirico, Guido da Verona si presentava come celibe, benché non lo fosse affatto. Con un'anima di antenato. Antipatico a se stesso in modo superlativo. E in rotta con i filosofi e con gli apostoli di ogni fede. Ottimo ballerino di tango, poliglotta e fratello di chiunque stesse contro la moltitudine, si miniava libertino, fumatore di prelibati sigari e uomo tenacemente deciso a scegliere come logica della vita "quella di non averne alcuna". Ma soprattutto nomade errante diceva d'essere, amatore della strada, della primavera e del profumo dei rosai, non meno che dei puri-sangue, della poesia e del gioco del baccarà. (...)