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Fino a dove può spingersi un essere umano per sopravvivere ai propri ideali? Scegliendo di arruolarsi nel 1938 - appena diciottenne - convinto sostenitore della Patria, Giovanni Cortellini verrà a trovarsi a confronto con una realtà non prevista. Dopo l'esperienza tragica della campagna di Russia, l'8 settembre 1943, a Vipiteno, fu fatto prigioniero dai tedeschi e cominciò la sua odissea nei campi di concentramento prima in Polonia e poi in Germania. Rifiutare di aderire alle SS o alla R.S.I. significò soffrire la fame fino allo sfinimento, essere umiliati senza motivo, vivere in baracche o camerate sudice, chiusi nel reticolato controllato dalle sentinelle: un lucido progetto per indurre i prigionieri al lavoro forzato. Una resistenza, resa possibile dalle lettere - attese con trepidazione - della famiglia e della fidanzata, che determinò un ripensamento dei valori e dei "miti" della giovinezza per aprirsi ad un futuro di pace. Nella violenza estrema della guerra ci furono però anche incontri nei quali prevalse la comune umanità o addirittura l'emozione di trovare nella famiglia Wettwer rispetto, calore e condivisione di piaceri culturali come la musica: "un'oasi di gentilezza e di pace nell'inferno della prigionia" (Giovanni Cortellini) Una riflessione che vale anche per l'oggi.