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L'archeopoesia è poesia classica per eccellenza. Se l'archeologo è l'indagatore e lo scopritore del passato, l'archeopoeta è l'artista, il restauratore che ridà nuova vita e nuova voce ai reperti, recuperando i frammenti perduti della memoria, le atmosfere evaporate, il senso delle parole tramontate e scomparse. Come Salvatore Quasimodo reinterpretò a suo modo il sentire poetico dei lirici greci, l'archeopoeta, ricavando il senso di termini le cui radici e le cui misteriose sonorità si perdono nella notte dei tempi, compie una preziosa operazione di amore e temerarietà insieme. L'archeopoesia non è invenzione e non è solo ispirazione; essa è cultura nel senso più robusto del termine: una profonda conoscenza storica, una buona padronanza delle lingue antiche, nozioni di glottologia, filologia ed antropologia, sono gli arnesi indispensabili per questo tipo di scrittura. Nello stesso tempo, l'archeopoesia non si può definire riduttivamente "poesia per una ristretta élite".