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Vi aspettate il solito libro ottimistico di management e leadership? Lasciate perdere. "I capi" è un catalogo, un caleidoscopio, un bestiario dei differenti stili di comando visti nel loro aspetto più ironico e grottesco: c'è il capo di bestiame, noto per la sua capacità di pastore di greggi; capitan Findus, che vorrebbe fare il corsaro ma serve bastoncini fritti a una ciurma di ragazzini scemi; il Capo di Buona Speranza, che viene assunto per salvare l'azienda in condizioni disperate. E ci sono pure quelli umili con i potenti e arroganti con i deboli, come il caporale o il capocollo, quel tipo di quadro intermedio che si trova, appunto, fra il capo e il collo dell'organizzazione. Un libro pessimista? Forse. Ma del resto, cosa vi aspettavate da uno che, come Celli, ha scritto che "comandare è sfottere"? Dietro quest'opera sta una riflessione impietosa, certo, ma anche una proposta: basta con l'azienda come ideologia, come credo, con il management come dogma. Basta con l'organizzazione e con la leadership come feticcio. I veri capi dovrebbero essere persone brave, e magari (cosa assai più rara, in verità) brave persone...