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Algeria, 1957. Nel pieno di una guerra feroce e logorante, tre uomini si trovano riuniti nello stesso angolo d'inferno, una villa sferzata dal vento del deserto. André Degorce è un capitano dell'esercito francese, nel suo passato la lotta partigiana al nazismo e l'internamento a Buchenwald, e poi ancora la prigionia in Indocina. Adesso è dall'altro Iato della barricata e guida la divisione che ha il compito di stroncare la resistenza algerina; sta a lui ora la parte del carnefice, del torturatore. L'ultimo, importante risultato ottenuto è l'arresto di Tahar, uno dei massimi capi dell'ADN, braccio armato dell'esercito di liberazione. Di fronte a questa figura inflessibile, che lo sfida ostentando un consapevole sorriso, Degorce non può non provare un forte senso di rispetto. Ma è un sentimento rovente, che avvampa nella coscienza dilaniata di un uomo che non sa più riconoscersi dietro i comandi di morte che pure impartisce. E nell'intenso dialogo che s'instaura tra i due s'immette una terza voce, quella di Andreani, il tenente che con il capitano ha condiviso i medesimi orrori del passato; è lui a smantellare ogni giustificazione retorica della tortura e a mostrare la nuda verità della spietata pedagogia della guerra cui tutti loro partecipano. Nel cinquantenario dell'indipendenza algerina e prendendo spunto da fatti reali, Jérôme Ferrari schiude una "porta aperta sull'abisso" e fa i conti con una delle più laceranti pagine della storia recente.