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La memoria di Walter Fusi è densa, frutto di incontri e di separazioni, di preferenze e di selezioni che lo accompagnano fin dai suoi esordi, vicini ma non sovrapponibili alla tradizione figurativa di Rosai e del "gruppo delle Giubbe Rosse", attraverso un'esperienza informale contorta e infelice, fino ad aderire a una forma di concretismo personalissima, che lo conduce a sperimentare pratiche artistiche capaci di contaminare masse e volumi plastici con i cromatismi vibranti e incantati della sua pittura." Un'astrazione più energetica che cerebrale" l'ha definita Tommaso Trini, memore del chiasmo che viene a crearsi verso la metà degli anni Sessanta, allorché il gusto per la forma organica, "psichica e costruttiva" del suo modo di avvicinarsi all'Informale ("l'Informale è qualcosa di più, che ti prende, ti snerva, ti sospinge. Difficile governarlo", avverte Fusi in un'intervista), si traduce, trasmuta in quella cifra "concretista", che non abbandonerà più l'artista toscano.