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Jirí Kolár dà all'arte una struttura equivalente ai segni della scrittura e, come tale, la seziona e ricompone; l'immagine statica si fa movimento, dubbio, si apre a letture diverse, non convenzionali, per ricreare la complessità delle molteplici realtà che viviamo, introducendo anche la dimensione del tempo, il trascorrere della vita nel sovrapporsi di strati, nell'usura o nelle pieghe. In altre opere l'artista richiama alla memoria oggetti ed esperienze della vita, frammenti di un'identità dispersa che divengono un caleidoscopio di segni, talvolta ossessivi, nei minuziosissimi, labirintici chiasmages fatti di frammenti di libri in lingue e caratteri diversi. Questi, privati della capacità di raccontare, assumono nuovo senso nel ritmo e nella musicalità della disposizione, rivestendo superfici o oggetti. L'artista offre - nelle complesse connessioni tra frammenti di parole e immagini, musica, movimento una personale sintesi della propria cultura e civiltà, rinnovando un linguaggio che si era logorato e immagini che avevano perso senso (divenendo strumenti di regime), grazie alla poesia che li riscatta e li fa rivivere.