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Sostanzialmente diviso in due parti, racconta la vita di Jeremy Ang, psichiatra di stampo junghiano. È nella prima parte che impariamo a conoscere il professionista attraverso estratti dalle sue opere e dai suoi interventi ai convegni e parallelamente ascoltiamo la sua storia di bambino e adolescente in una casa troppo silenziosa accanto a una madre-vestale e a un padre assente, sfogliamo il diario di una bipolare e respiriamo versi che tanto assomigliano a un bozzetto di Chagall. Jeremy Ang si applica con puntiglio e serietà per capire la propria esistenza, elaborando teorie che sperimenta su di sé e che trovano una assonanza dolce e inquietante con le esistenze che incontra nel corso della sua professione. Jeremy si rapporta al mondo secondo lo strumento delle vite a cannocchiale che consiste nel far scorrere la vita, mettendo a fuoco via via dettagli o visioni di insieme di alcuni aspetti del mondo, mentre esso scorre parallelo all'esistenza. Nell'insieme un racconto intessuto di passione, ironia, mistero e dolore. Il ritorno alla casa avita segna il passaggio alla seconda parte, che assume i toni di una ghost story non convenzionale avvincente, in forma di ricordi e di lettere, per una destinataria inquietante ed enigmatica: Irene. Di lei, Jeremy, comincia a ricordarsi lavorando nel giardino consegnato alle erbacce. Spetterà a lei a mettere a fuoco il cannocchiale?