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Sofia a seguito dell'abbandono da parte della compagna ripercorre tutta la sua vita in una sorta di flusso di coscienza, affidando l'elaborazione della perdita e del senso di vuoto e di solitudine che ne sono scaturiti alle parole. Parole da assaporare lentamente. Parole per ritrovarsi lungo un cammino accidentato e inquieto. Parole di un animo ferito e disorientato. Riflettendo sulla sua vita, sulle esperienze passate, sulle scelte fatte, Sofia si mette in discussione e nel farlo si confronta con il suo alter-ego: Albert, voce spudorata, ma intelligentemente ironica. Albert, che le appare attraverso lo specchio nel quale Sofia cerca i suoi stessi occhi, assume il ruolo di tutore, mentore e confidente. Albert/Sofia, Sofia/Albert sono il Giano bifronte, il volto in luce e in ombra della Luna, simbolo binario di vita e morte, infanzia e vecchiezza, sonno e veglia, respiro e immobilismo. Sofia e Albert sono il recto e il verso della stessa medaglia, ma con una differenza. Albert è la parte matura, un burbero benefico, Sofia è la parte spirituale rimasta infante, la bambina che si è persa, timorosa di diventare adulta. In queste due anime che albergano nello stesso petto, come diceva Goethe, vi sono le tracce di una sola anima, quella di una donna che sta raggiungendo se stessa in una e mille voci, nella spasmodica e struggente ricerca di un'infanzia perduta.