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Una silloge di esordio dalle atmosfere pure e intense. Echeggia in sottofondo lo spleen di baudelairiana memoria, inquietudine e disorientamento esistenziale si avvertono nella consapevolezza di quanto vano sia il tentativo di superare la solitudine, di ricercare una vita autentica che si riveli nella sua delicata e primitiva essenza. È una possibilità irrealizzata ciò che rimane dopo esserci guardati dentro, aver carezzato ombre e affetti perduti, stretto al petto la nostra natura mortale. Per quanto possa, tuttavia, rivelarsi effimera la ricerca di un possibile significato dell'esistenza umana assume valore in quanto tale. Mai arrendersi all'ineluttabile, sempre cercare e interrogarsi. La solitudine di cui parla il poeta è una sorta, dunque, di desolazione di fondo, una dolorosa presa di coscienza che la provvisorietà del nostro vivere ci renderà perennemente irrequieti e che le consolazioni materiali possono attenuare il disagio ma non cancellarlo. Il mal di vivere è parte di noi. Sì come l'assenza di coloro che abbiamo amato è in noi, avviluppata al nostro cuore. Una poesia, quella di Pierluigi Gronchi, che si compenetra in due dimensioni sovrapposte di stati d'animo e si riverbera di melanconia, rimembranza, intimo conforto.