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È la trasposizione in lettere della quotidianità operaia, racconti resi verosimili dalla crudezza o dalla leggerezza che li permea, raccolti lungo la via dove Pasolini ha ambientato il suo primo romanzo. È quel correre sul cavo teso (così con le parole) come farebbe un equilibrista, o un operaio su di una impalcatura, scivolando su un piede per poi ritrovare stabilità, senza mai perdere la certezza che comunque vada si arriverà al di là del filo. È il crudo resoconto delle "guerre indiane", l'epopea raccontata presuntuosamente e in modo insolito da un indiano (un paradosso), che abbandonata la tradizione orale racconta se stesso cimentandosi con le lettere, solo sostenuto dai grafiti tracciati con l'ocra, il rosso e il carbone sulla roccia dura. L'ironia, l'autoironia usata come amalgama, percorre la strada come le pagine, senza mai scemare, anche quando, per forza di cose, è costretta a bagnarsi nell'amarezza. Le immagini, le citazioni che ho voluto inserire, tutt'assieme, appaiono come fulmini durante il percorso, per sostenere un momento o per dare contrasto ai toni ("Il dolore" di Ungaretti gioca a palla coi "Ragazzi di vita" di Pasolini).