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Il libro prende in considerazione la cinematografia di Fellini partendo con i film precedenti il successo mondiale de "I Vitelloni" e si protrae sino alla definitiva opera della prima maturità, quella "Dolce vita" che consacrò il regista italiano come uno dei massimi artisti del Novecento, e che vinse tutti i premi delle giurie internazionali. Naturalmente si analizza il periodo aurorale dei primi lungometraggi in collaborazione con Lattuada, per approdare poi alle atmosfere rarefatte de "Lo sceicco bianco", alla malinconica opulenza de "I vitelloni", al patetismo straziante de La strada, alla ferocia interiore de "Il bidone", alle stralunate velleità mentali di "Le notti di Cabiria", alla babele visionaria e profetica di quell'immenso affresco che è "La dolce vita". Dopo questo excursus effettuato ieri da Solmi, oggi rimane quasi nel lettore una domanda inquietante: se Fellini avesse smesso di fare film nel 1960, la sua poetica e la sua lezione sarebbero state più povere o ancora più misteriosamente influenti?